La privacy è morta
O forse no
No, la privacy non è morta, semplicemente è cambiata. E deve cambiare, di conseguenza, il nostro modo di affrontare la sua tutela.
All'inizio del 2021, Amazon ha installato telecamere dotate di intelligenza artificiale nei furgoni di uno dei suoi depositi di Los Angeles. Derek, un autista di consegne della struttura, ha raccontato che la telecamera nel suo furgone ha iniziato a penalizzarlo in modo errato ogni volta che le auto gli tagliavano la strada, cosa che accade quotidianamente nel traffico di Los Angeles. "Mantenere la distanza di sicurezza", diceva la telecamera installata sopra il suo sedile quando un'auto gli tagliava la strada. I dati venivano poi inviati ad Amazon e utilizzati per valutare le sue prestazioni di quella settimana e determinare se ricevere un bonus. La vicenda ha gettato nel panico, prima, Derek e i suoi colleghi, poi tutto il settore dei lavoratori dipendenti che hanno temuto per la loro privacy.
In un mondo in cui siamo sempre sorvegliati, tutto è performance
Ciò di cui Derek non è consapevole è di essere anch’egli, a sua volta, un sorvegliante. Che piaccia o meno, infatti, tutti noi rivestiamo un ruolo nella “sorveglianza”. Il sociologo David Lyon, nel suo ultimo libro “La cultura della sorveglianza”, infatti non tratta più l’argomento con le nozioni di “stato” o “società” ma bensì parla di cultura. Queste oramai andate nozioni descrivevano quel tipo di sorveglianza top to bottom, la stessa descritta da George Orwell nel suo 1984. La cultura della sorveglianza, nella quale versa la nostra società, invece, va oltre. Pur riconoscendo quello che succede nella sorveglianza esercitata dalle organizzazioni, mette in luce i diversi ruoli che tutti noi ricopriamo in rapporto a questa. Ad esempio, i dati che creiamo usando Facebook (o qualsiasi altro social) vengono si sfruttati dalle organizzazioni per venderci al miglior offerente, ma sono anche lo strumento che usiamo noi stessi per sorvegliare, de facto, ciò che i nostri amici dicono e fanno. Ci auto - sorvegliamo. Ed è in quest’ultima analisi che Lyon trova uno dei noccioli del problema: la performance. In un mondo in cui siamo sempre sorvegliati, tutto è performance. E questo provoca inevitabili effetti collaterali. La consapevolezza di essere potenzialmente osservati modifica il nostro atteggiamento: ci rende innocui, ci fa conformare al comportamento che sappiamo essere il più rassicurante, ci denaturalizza, incappando in quello che lui definisce “collasso dei contesti”, secondo il quale, tornando all’esempio dei social, si fondono contesti troppo differenti delle nostre vite che collassano poi in un unico amalgama.
Da diritto individuale la privacy si è trasformata in una negoziazione collettiva
Il professor Antonio Casilli spiega che in realtà quella che ha subito la privacy non è una fine, bensì una trasformazione. Da diritto individuale si è trasformata in una negoziazione collettiva. Nel suo libro questo è presentato come il passaggio dalla “privacy as penetration” alla “privacy as negotiation”; è la nozione ereditata dalla giurisprudenza anglosassone del XIX secolo, che rappresenta ogni individuo come un’entità isolata al centro di una sfera privata. Il giurista americano Louis Brandeis diceva, nel 1890, che “la privacy è il diritto di essere lasciati soli”, ma online nessuno vuole restare solo. Per di più, quello a cui ci troviamo di fronte oggi è un sistema in cui consapevolmente vendiamo “noi stessi”, vedi la startup Weople: app fondata dalla società Hoda che promette ai propri iscritti una remunerazione in cambio della cessione dei loro dati personali.
Fatta questa premessa, lo scrittore italiano Giovanni Cattabriga - meglio conosciuto sotto lo pseudonimo di Wu Ming 2 - già nel 2008 ci aveva ricordato la formula essenziale da adoperare in questa lotta al colpevole: “solito vecchio discorso. Poiché il nemico utilizza uno strumento, lo strumento diventa il nemico”. Da qui, dunque, la sfiancante constatazione che qualunque sia il mezzo, il titolare di un’azienda avrà sempre un vantaggio nel rapporto hegeliano servo-padrone. Questo però dovrebbe bastare a limitare lo sviluppo tecnologico? Nei luoghi di lavoro industriali, un'approfondita valutazione dei rischi è il primo passo verso una maggiore sicurezza, attraverso strumenti che consentano di identificare i rischi prima che questi possano sfociare in situazioni potenzialmente pericolose. Quando si verificano incidenti, questi dovrebbero essere analizzati e utilizzati assieme a tutti gli altri espedienti preventivi del caso, per evitarne altri in futuro. Raccogliere dati in tempo reale, infatti, ci consente di ampliare la nostra visione riguardo i problemi quotidiani con cui i lavoratori si trovano ad avere a che fare e, di conseguenza, di apportare modifiche per supportare la costruzione di un ambiente di lavoro più sicuro.
Inoltre, “la cultura della sorveglianza”, come qualsiasi altra cultura, si sviluppa in modo diverso e spesso si trasforma imprevedibilmente soprattutto in contesti di crescente liquidità sociale. Germoglia e fiorisce in modo differente a seconda delle circostanze storiche e politiche. Quindi, prima di sprofondare in un terrorismo psicologico dettato dalla paura di essere oramai privi di tutela, vittime passive di un sistema tecnocratico, occorre analizzare la questione in virtù dei Paesi coinvolti e del loro apporto alla sicurezza dei cittadini.
In questo l’Unione Europea è sempre stata all’avanguardia. Già dal 2016, attraverso il GDPR (General Data Protection Regulation), ha promosso la tutela dei dati personali e ha cercato di restituire il controllo ai cittadini sulla propria privacy.
In conclusione, sebbene la privacy abbia subito una trasformazione e il modo in cui la concepiamo sia cambiato, non possiamo affermare che sia morta del tutto. È vero che viviamo in un'epoca in cui la sorveglianza è diffusa e la nostra vita digitale e fisica è costantemente monitorata. Tuttavia, non dobbiamo cadere nel fatalismo. La tecnologia offre nuovi scenari che possono supportare e migliorare la nostra vita. Dipende dall'uso che ne facciamo. La responsabilità di utilizzare la tecnologia a beneficio degli altri e non a detrimento rimane nelle nostre mani.